Nel 1969 lo scrittore parigino George Perec iniziò “Lieux”, un progetto letterario che prevedeva un piano di lavoro tanto ferreo quanto semplice: scelti dodici luoghi della città legati al proprio passato, per dodici anni Perec avrebbe descritto, recandovisi, ognuno di questi una volta l’anno; in un secondo momento, e altrove, avrebbe dovuto evocare i ricordi ad essi legati. La combinatoria degli spostamenti e dei ricordi era controllata da un algoritmo creato appositamente, in modo da evitare qualsiasi tipo di sovrapposizione e di ripetizione. Una volta scritti, i testi relativi a ogni luogo venivano imbustati e sigillati. Il tutto si sarebbe dovuto concludere nel 1982, ma Perec non portò mai a termine il progetto, abbandonandolo nel 1975: 133 testi vennero comunque scritti e pubblicati in varie sedi. “Non mi aspetto nient’altro che la traccia di un triplice invecchiamento: quello dei luoghi stessi, quello dei miei ricordi e quello della mia scrittura”: con queste parole Perec spiegava quale sarebbe dovuto essere l’esito del suo progetto.
Dedicarsi a un luogo, alla sua paziente descrizione fattuale, ai ricordi che esso evoca. Dedicarsi alla propria memoria e al modo in cui essa conserva.
E’ utile allora unire questi pensieri alla teoria aristotelica, la quale “sostiene che l’essenza di una cosa può essere stabilita attraverso i cambiamenti che essa subisce. L’essenza può essere allora interpretata come l’insieme delle potenzialità inerenti alla cosa, mentre i cambiamenti possono essere interpretati come l’attualizzazione di queste potenzialità”. (1)
Ecco che il voler osservare con cura un luogo diventa una ricerca della sua essenza.
E di quella di sé stessi.
(1) C. M. Arìs, “Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura”